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Lingua giapponese



  La lingua giapponese (日本語, nihongo?) è una lingua parlata in Giappone e in numerose aree di immigrazione giapponese.


Dal punto di vista tipologico il giapponese presenta molti caratteri propri delle lingue agglutinanti del tipo SOV, con una struttura "tema-commento" (simile a quella del coreano). La presenza di alcuni elementi tipici delle lingue flessive ha spinto tuttavia alcuni linguisti a definire il giapponese una lingua "semi-agglutinante".
Il giapponese è lingua ufficiale nell'arcipelago giapponese e nell'isola di Angaur (Palau), dove condivide questo status con l'angaur e l'inglese. Esistono inoltre numerose comunità di lingua giapponese nelle aree di immigrazione, in Brasile, in Perù e negli Stati Uniti (soprattutto nelle Hawaii e in California). Gli immigrati giapponesi di queste comunità sono chiamati 二世 nisei ("seconda generazione") ed è raro che parlino giapponese correntemente.
In giapponese esistono 5 fonemi vocalici e 26 fonemi consonantici differenti. Questi ultimi, però, non si presentano mai da soli, ma hanno sempre bisogno di una vocale a cui appoggiarsi (l'unica eccezione è /ɴ/, che può apparire isolato). Si usa dire a questo proposito che il giapponese è una lingua sillabica: l'elemento fondamentale della parola non è infatti la lettera, ma la sillaba. Le sillabe sono composte sempre secondo lo schema [consonante] + [vocale] oppure secondo lo schema [consonante] + /j/ (IPA) + [vocale]. Questo limita notevolmente la possibilità di comporre parole usando i fonemi.


Nella traslitterazione della scrittura giapponese (secondo i sistemi ufficiali Hepburn e Kunrei) sono impiegate soltanto 22 delle 26 lettere dell'alfabeto latino, 5 vocali e 17 consonanti (alcune delle quali corrispondono a più di un fonema):
I fonemi vocalici giapponesi, in trascrizione IPA, sono /a/ /e/ /i/ /o/ /ɯ/. Vengono abitualmente traslitterati rispettivamente come a e i o u. L'unica vocale non presente in italiano è /ɯ/, che corrisponde al suono della u pronunciata senza arrotondare le labbra (vocali non arrotondate).
In ambiente sordo, ovvero quando precedute e seguite da consonanti sorde o in fine di frase, la pronuncia di alcune vocali (principalmente i e u ma in alcuni parlanti anche a e o) è desonorizzata (con vibrazione delle corde vocali solo parziale o totalmente assente). L'accento regionale della zona del Kansai (Ōsaka, Kyōto), molto caratteristico, invece tende a pronunciare marcatamente anche le vocali desonorizzate della lingua standard.
Alcuni esempi (le vocali tra parentesi sono da pronunciare senza far vibrare le corde vocali):
/ɯ/ desonorizzata:
desu (copula) è pronunciato /des(u)/
Asuka (nome proprio) è pronunciato /As(u)ka/
/i/ desonorizzata:
deshita (copula al passato) è pronunciato /desh(i)ta/
kita ("nord") è pronunciato /k(i)ta/
/a/ e /o/ desonorizzate:
kakaru (verbo dai molteplici significati) è pronunciato /k(a)karu/
kokoro ("cuore") è pronunciato /k(o)koro/
Le vocali possono essere allungate con la ripetizione della stessa o con l’aggiunta di una u o di una i a seconda dei casi: per esempio, ei e ou si pronunciano /e:/ e /o:/ (sensei si pronuncia /sense:/ e shoujo /ɕo:ʥo/).

Non esiste un accento tonico come concepito nelle lingue neolatine: l'accento potrebbe cadere su qualunque sillaba della parola in base alla musicalità che assume all'interno della frase.
La pronuncia standard è basata sull'accento di Tokyo. Le consonanti possono essere raddoppiate (quando se precedute nella grafia da una piccola tsu —sokuon っ—, o, in alcuni casi, da una n).
Notevoli sono i fenomeni di assimilazione di alcune consonanti, che danno varianti combinatorie (tassofoni) caratteristiche.
Il fonema /t̪/ si realizza:
come affricata prepalatale [ʨ] davanti a i /i/, y /j/ (traslitterato nel sistema Hepburn con ch: ち chi [ʨi]; ちゃ cha [ʨj̊a] < */tja/);
come affricata dentale [ʦ̪] davanti a u /ɯ/ (suono della z sorda italiana; è traslitterato con ts: つ tsu [ʦɯ]).
Il fonema /ʣ̪/ ([ʣ̪] e variante lenita [z̪]; traslitterato con z; corrisponde alla z sonora italiana [ʣ̪]) si realizza come [ʥ] (variante lenita [ʑ]) davanti a i /i/, y /j/ (ed è traslitterato con j: じ ji [ʥi]; じゃ ja [ʥja]).
Il fonema /s̪/ si realizza come [ɕ] davanti a i /i/, y /j/ (ed è traslitterato con sh: し shi [ɕi]; しゃ sha [ɕj̊a]).
Il fonema /n/ si realizza come prepalatale [ȵ] (≅ IPA di base [n̠ʲ]) davanti a i /i/, y /j/ (questa assimilazione parziale non è indicata nella traslitterazione: に ni [ȵi], にゃ nya [ȵja]).
Il fonema /h/ si realizza come bilabiale [ɸ] davanti a u /ɯ/ (traslitterato con f: ふ fu [ɸɯ]) e come palatale [ç] davanti a i /i/, y /j/ (traslitterato sempre con h: ひ hi [çi]; ひゃ hya [çja]).
Le occlusive sonore non coronali /b/, /ɡ/ intervocaliche possono indebolirsi in fricative ([β], [ɣ]), soprattutto nella pronuncia veloce e/o informale:

/b/ → [β]:     /abaɺeɺɯ/ → [aβaɺeɺɯ] abareru 暴れる
/ɡ/ → [ɣ]:     /haɡe/ → [haɣe] hage はげ
Tuttavia il comportamento del fonema /ɡ/ è complicato dalla presenza di una sua variante di realizzazione nasale velare [ŋ]. Il tassofono intervocalico fricativo [ɣ] è presente infatti solo in alcuni parlanti.
L'occlusiva /ɡ/ può essere realizzata come nasale [ŋ] all'interno di parola (anche tra vocale e consonante). Se un parlante pronuncia in modo consistente una data parola con la variante [ŋ], non avrà mai [ɣ] come tassofono di /ɡ/ in quella parola.

Le velari /k/ e /ɡ ~ ŋ/ si assimilano davanti a i /i/, y /j/ e hanno realizzazione palatale ([c] per /k/ e [ɟ ~ ɲ] per /ɡ ~ ŋ/).
La nasale "moraica", "sillabica" ん, che ricorre solo in coda di sillaba e che può essere utile trascrivere con il vecchio simbolo IPA ƞ (U+019E), è foneticamente intensa e la realizzazione principale è [ŋ̩]. Davanti alle consonanti occlusive e affricate si assimila nel luogo d'articolazione al suono seguente (labiale [m̩], dentale [n̪̩], prepalatale [ȵ̩], velare [ŋ̩]).
Il fonema /ɰ/ si trascrive in traslitterazione con w: わ wa /ɰa/ (è come il suono [w] ma senza arrotondamento labiale).
Non è presente un fonema laterale /l/. Il fonema vibrante /ɺ/, r in traslitterazione, tuttavia è precisamente una vibratile (monovibrante flap, quindi con una sfumatura di occlusiva ultrabreve, del tipo della d inglese) apicale alveolare con una componente laterale.
Le parti del discorso presenti nella lingua giapponese sono cinque: sostantivo, verbo, aggettivo, avverbio, particella. Quest'ultima categoria racchiude le definizioni italiane di preposizione, congiunzione e interiezione. I pronomi non esistono come categoria a sé stante, ma sono trattati secondo i casi come sostantivi o come aggettivi. Gli articoli sono del tutto inesistenti.
Il sostantivo giapponese, nella maggior parte dei casi, non presenta distinzioni di genere e numero: Sensei significa indistintamente "maestro", "maestra", "maestri" o "maestre". Quando si vuole caratterizzare un nome di persona secondo il genere, si possono far precedere le specificazioni otoko no (maschio) e onna no (femmina): Ko (bambino) diviene perciò Otoko no ko (bambino maschio, ragazzo) oppure Onna no ko (bambina, ragazza) a seconda dei casi. Un ristretto numero di sostantivi presenta una forma plurale ottenuta per raddoppiamento, che può essere considerata alla stregua di un nome collettivo: Hito (persona) diviene Hitobito (persone, gente).
Il pronome di prima persona watakushi è una forma molto formale e ormai caduta in disuso; anche watashi è formale ma in misura minore rispetto a watakushi. Boku e atashi invece sono abbastanza informali e usati perlopiù tra amici e in famiglia. Ore è invece ancora più informale e talvolta considerato maleducato.
Riguardo ai pronomi di seconda persona c'è da aggiungere che esistono ulteriori forme: otaku (da non confondere con l'altro significato otaku) è un'altra forma estremamente formale, al pari di watakushi e in disuso. Anche anata è sempre formale ma meno di otaku. Kimi è la forma informale standard, mentre omae e anta sono ancora più colloquiali. Inoltre, ancora più in basso, vi sono le forme temee e kisama, che sono considerati dei veri e propri insulti (come per dire: "Tu, bastardo!"). Kisama è più offensivo di temee.
I pronomi di terza persona sono quelli che hanno meno forme. Le forme esistenti sono kare e kanojo, il cui grado di formalità/informalità è neutro. A questi però vi sono da aggiungere altre due forme, molto informali, aitsu e yatsu.

Il verbo giapponese presenta una coniugazione che permette di distinguere il modo e il tempo dell'azione (presente o passato), ma non la persona. La coniugazione segue le regole proprie delle lingue agglutinanti: i suffissi si uniscono alla radice del verbo senza fondersi e contengono ciascuno un'unica informazione semantica. La vocale radicale dei verbi può mantenersi invariata in tutta la coniugazione (verbi ichi-dan o ad una uscita) oppure variare a seconda del suffisso a cui è collegata (verbi go-dan o a cinque uscite). Sono ichi-dan i verbi che alla forma non caratterizzata (corrispondente spesso all'indicativo presente italiano) escono in -eru o -iru (la vocale radicale è evidenziata in grassetto):
Esempio: Taberu, mangiare
Tabe: davanti a tutti i suffissi (tranne ba);
Taberu: forma non caratterizzata;
Tabere: usata anche davanti al suffisso ba;
Tabero: forma imperativa
Sono go-dan tutti gli altri verbi:

Esempio: Kaku, scrivere
Kaka: davanti ai suffissi nai, reru, seru;
Kaki: davanti al suffisso masu, tai;
Kai: davanti ai suffissi ta, tara, tari, te;
Kaku: forma non caratterizzata;
Kake: forma imperativa; usata anche davanti al suffisso ba e ru;
Kako: utilizzata solo per l'esortativo Kakō
Elenchiamo di seguito i suffissi più comuni:

ta: passato (corrispondente a tutte le forme passate dei verbi italiani);
te: gerundio, sospensivo (usato in proposizioni coordinate), imperativo gentile;
nai: negativo;
tai: è uno dei modi per indicare la volontà di compiere un'azione;
masu: forma gentile;
ba: condizionale (usato nel periodo ipotetico);
reru (rareru per i verbi ichi-dan): passivo;
ru (rareru per i verbi ichi-dan): potenziale (posso mangiare, posso scrivere);
seru (saseru per i verbi ichi-dan): causativo (faccio mangiare, faccio scrivere).

Gli aggettivi giapponesi possono essere utilizzati come attributi o predicati nominali. Si osservi l'esempio con l'aggettivo samui (freddo):
Samui tokoro: Un luogo che è freddo > Un luogo freddo;
Samukatta tokoro: Un luogo che era freddo;
Kyō wa samui: Oggi è freddo;
Kinō wa samukatta: Ieri era freddo.
In tutti i casi si può immaginare che il verbo essere sia incluso nell'aggettivo che termina in-i, unico tipo di aggettivo che subisce vere e proprie variazioni morfologiche.

Altri aggettivi si legano al nome che modificano tramite il gancio na. Sono chiamati anche aggettivi impropri o "nomi aggettivali".

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